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Alessandro Rizzo writes: >Il Grillo (26/2/1998) >Domenico Losurdo >Il revisionismo storico >http://www.emsf.rai.it/scripts/documento.asp?id=190&tabella=trasmissioni > >Losurdo: Mi chiamo Domenico Losurdo, ordinario di Storia della filosofia >all'Università di Urbino. Recentemente ho pubblicato dall'editore >Laterza un libro su Il revisionismo storico, ed è proprio di questo >argomento che oggi ci occupiamo. Io credo che si possa partire già con >la scheda filmata. >Si può riscrivere la storia? Un particolare evento o un'intera epoca >possono essere rivisitati? I casi sono due. Se la risposta è positiva >si rischia di restare senza punti fermi e di scoprire che, "se del >doman non v'è certezza", di ieri nemmeno. Se, invece, la risposta >è negativa, non resta che ricorrere a metodi drastici: licenziamo >tutti gli storici. In tempi recenti il revisionismo storico, lo sforzo di >interpretare un evento del passato in maniera diversa da quella corrente, >è diventato sinonimo di cialtroneria, questo in virtù di >un'interpretazione un po' ardita della nascita del fascismo e del nazismo, >che alcuni storici, tra cui Nolte, De Felice, Furet, descrivono come >"tentativo estremo, uguale e contrario, di reazione all'incedere del >comunismo". Una teoria che ha scatenato le ire di chi sostiene >l'assoluta originalità della violenza e dei crimini del nazifascismo, >inducendo il sospetto che questa opera di revisione >fosse stata fatta con eccessiva leggerezza, se non addirittura con un >processo un po' audace di semplificazione ideologica. Revisionisti e per >nulla cialtroni erano però gli storici degli "Annales", la >rivista francese a cui dobbiamo l'introduzione della storia economica e >sociale, in netta rottura con la storia politica e militare, che aveva >dominato l'Accademia fino a settant'anni fa. Dunque c'è revisionismo e >revisionismo. E in suo nome si possono introdurre teorie peregrine come >innovazioni straordinarie. Diverso è il caso del negazionismo che con >la storia ha davvero poco a che spartire. Sostenere, come fanno alcuni, che >le camere a gas e i forni crematori non sono mai esistiti, non è >un'interpretazione, ma più semplicemente un falso montato ad arte da >una pattuglia di storici filonazisti, falso che tuttavia trova, di volta in >volta, qualcuno disposto a propagandarlo, e qualcun altro disposto a >crederci. >STUDENTESSA: Senta, ma se esiste una oggettività assoluta delle fonti >come è possibile che possano coesistere insieme due interpretazioni >totalmente opposte riguardo ad un evento storico? >Losurdo: Io credo che noi dobbiamo ridefinire la categoria di revisionismo >storico. In fondo ogni opera storica non fa che reinterpretare il passato. >E quindi, da questo punto di vista, tutti gli storici sono revisionisti. In >realtà noi per revisionismo storico dobbiamo intendere qualcosa di >più preciso, cioè una corrente che, ai giorni nostri, cerca di >riscrivere la storia contemporanea e soprattutto di relativizzare l'orrore >del nazismo, della soluzione finale e anche del fascismo. Questo è il >problema che noi oggi dobbiamo affrontare. >STUDENTESSA: Su quali basi si basano le teorie del negazionismo per esempio >riguardo a un fenomeno come l'olocausto? >Nolte non può essere definito un negazionista. Lui non nega che si sia >verificato lo sterminio nei confronti degli ebrei, mentre invece i >negazionisti effettivamente possiamo anche trascurarli perché talvolta >si tratta di falsificazione vera e propria. Ecco, Nolte invece insiste sul >rapporto che ci sarebbe tra il gulag comunista e l'orrore poi del Terzo >Reich e dell'ebreicidio. E' questa la tesi, la tesi di Nolte. Io credo che >questa tesi sia ugualmente inaccettabile ed è però su questa tesi >che si fonda tutta l'operazione di Nolte. >-Si visiona un'ulteriore scheda: >NOLTE: La mia tesi non consiste nell'affermare che dai gulag dovesse >necessariamente avere origine Auschwitz. Ho detto piuttosto che, se nella >testa di Adolf Hitler non si fosse formata l'idea secondo la quale gli >ebrei erano responsabili dei gulag e del cosiddetto Terrore Rosso del 1919 >e 1920, non ci sarebbe potuta essere Auschwitz. Ossia senza il gulag, >passando per la testa di Hitler e dei suoi sostenitori più prossimi, >niente Auschwitz. Soltanto questo ho detto. Si può dire che non si >tratti di un nesso causale, in quanto dipende interamente dalle idee che >stanno nella testa di un uomo, ma le teste degli uomini sono anch'esse >parte della realtà e ne sono anzi una parte molto importante. Non >c'è alcun nesso causale e scientifico fra il gulag e Auschwitz, ma >c'è un nesso causale mediato dalle teste degli uomini; esattamente >così come si può dire che la Prima Guerra Mondiale non è >stata la causa del fascismo. Essa è stata però >una conditio sine qua non, una condizione senza la quale il fascismo non ci >sarebbe stato. Altrettanto si può dire che il gulag è una >conditio sine qua non per Auschwitz e che la connessione si fonda solo su >una ideologia nella testa di Hitler. Questo può scandalizzare. Furet >lo ha trovato ad esempio scandaloso. Questa idea nella testa di Adolf >Hitler era certamente un'idea pazza, una follia. Se avesse detto, ad >esempio, i fumatori sono responsabili di tutti i mali del mondo - oggi i >fumatori vengono molto attaccati negli Stati Uniti o altrove, ma non li si >giudica responsabili di tutto il male -, allora questa non sarebbe stata >altro che un'idea pazzesca. Tuttavia, e questo è un fatto >incontestabile, un certo numero di uomini di origine ebraica, che non si >consideravano affatto ebrei, ma atei, ma che erano di origine ebraica, >avevano partecipato in forte misura alla Rivoluzione bolscevica, non ne >erano, come credeva Hitler, gli autori, ma ne erano una parte >importante, un elemento importante. Ciò che Hitler fece fu trasformare >l'elemento importante in causa, nell'unica causa, che è qualcosa di >completamente diverso. Vedendo inoltre, in modo puramente negativo, >ciò che, in linea di principio, si potrebbe considerare anche come >positivo. >-Fine della scheda, riprende la discussione. >Losurdo: Ecco, prima di riprendere il dibattito qualche osservazione su >questo testo di Nolte. Non c'è dubbio che la Rivoluzione d'Ottobre >provoca un enorme impatto nell'opinione pubblica internazionale. Sia in >Europa, sia in America si diffonde il mito del complotto >ebraico-bolscevico. Allora, da questo punto di vista, non solo Nolte, ma ad >esempio anche il grande storico ebreo americano, Mayer, ha insistito sul >legame tra antiebraismo e antibolscevismo. Hitler è convinto, è >deciso a estirpare quello che lui ritiene l'agente patogeno esterno, >l'intellettuale ebreo, che con la sua azione infetta la società e >provoca la sovversione. Ma subito aggiungiamo che c'è alle spalle >tutta una tradizione antisemita che ha individuato e bollato negli ebrei >questi presunti agenti patogeni esterni. Hitler si paragona a Koch e >Pasteur. Come Koch e Pasteur hanno scoperto il bacillo della tubercolosi e >hanno ristabilito la salute sterminando questo bacillo, così >Hitler intende sterminare questo virus che è l'ebreo, che distrugge la >società e provoca la sovversione. >STUDENTE: Oltre al revisionismo sul nazifascismo, esistono anche altri >revisionismi; per esempio abbiamo un revisionismo sulla Rivoluzione >Francese e recentemente anche un revisionismo di alcuni storici americani >sulle repubbliche popolari filosovietiche, specialmente per quanto riguarda >la Repubblica Iugoslava di Tito. Quali sono le analogie e le differenze tra >queste teorie revisionistiche. >In effetti noi possiamo dire che Furet è partito dalla liquidazione >della Rivoluzione Francese, poi è approdato alla liquidazione della >Rivoluzione d'Ottobre. Nolte è partito dalla demonizzazione della >Rivoluzione d'Ottobre ed è poi approdato alla demonizzazione della >Rivoluzione Francese. Quindi secondo me il revisionismo storico è un >movimento storiografico, culturale, anche politico, che procede alla >demonizzazione del ciclo rivoluzionario, che va dal 1789 al 1917. Una volta >liquidata la Rivoluzione Francese, ecco che viene delegittimato anche il >Risorgimento italiano. E in Italia noi assistiamo a questo fenomeno, per >esempio con La Lega Nord, di delegittimazione del Risorgimento italiano. >Una volta bollata, come criminale, sin dall'inizio, la >Rivoluzione d'Ottobre, viene delegittimata anche la Resistenza e vengono >delegittimati anche i movimenti anticoloniali che ovviamente hanno tratto >ispirazione dalla Rivoluzione d'Ottobre. Ecco, questo è il >revisionismo storico. E naturalmente assieme a questa demonizzazione della >tradizione rivoluzionaria, c'è in qualche modo, se non la >riabilitazione, la bagatellizzazione di fenomeni come il nazismo e il >fascismo che si sono collegati sin dall'inizio in aspra polemica contro >questa tradizione rivoluzionaria. >STUDENTE: Professore, abbiamo visto che Nolte parla di nessi mentali e di >condizioni. Ecco io volevo chiederLe: se non esiste una reale dipendenza, >almeno si può parlare di un nesso mentale del nazismo, della violenza >dell'olocausto con il colonialismo e lo schiavismo occidentale? E quali >sono le relazioni, perché di originalità assoluta forse nel >nazismo non se ne può parlare? >Mi pare che questa domanda richiami l'attenzione su un'altra delle >rimozioni di Nolte, secondo me. La prima rimozione, in un certo senso, l'ho >detta: la permanenza nel tempo della tradizione antisemita. Il secondo >aspetto è la rimozione sulla questione coloniale. Il nazismo nasce, >sì, sull'onda della polemica della Rivoluzione d'Ottobre, ma alla >Rivoluzione d'Ottobre si rimprovera anche questo fatto fondamentale: di >aver lanciato l'appello ai popoli coloniali perché si ribellino. >Hitler intende, per l'appunto, rivitalizzare la tradizione coloniale. >Hitler ripetutamente, nelle sue conversazioni a tavola, paragona la sua >campagna di sterminio ad Est con le campagne dei bianchi nel Far West. >Parla, ad esempio, dei popoli dell'Europa Orientale, come gli indigeni, >sono i pellerossa. Come i pellerossa sono stati sterminati per far luogo >alla colonizzazione bianca, così gli indigeni dell'Europa Orientale >devono essere sterminati per far posto alla colonizzazione >tedesca e ariana. In questo senso effettivamente noi non possiamo >comprendere il nazismo, senza tener presente questa lotta del nazismo >contro il processo di emancipazione coloniale, che inizia nel Novecento. In >questo senso forse possiamo interrogarci sulle analogie, anche sulle >differenze, tra la tragedia del popolo ebraico e la tragedia dei popoli >coloniali, che sono stati investiti dall'espansione coloniale, forse si >può aggiungere anche questo aspetto. Effettivamente queste due >tragedie trovano una stretta connessione nel Novecento. Allorché >Hitler decide di "fondare - così si esprime - le Indie tedesche >in Europa Orientale", allorché decide di costituire una sorta di >Far West tedesco nell'Europa Orientale, deve trasformare popoli che hanno >già una grande tradizione civile in popoli coloniali. In qualche modo >deve trasformare gli indigeni dell'Europa Orientale in pellerossa e in >neri. E per far questo deve sterminare l'intellettualità. >Secondo i nazisti si tratta di sterminare l'intellettualità >ebraico-bolscevica. Viene fuori di nuovo la peculiarità della >questione ebraica, nel senso che, proprio per ricondurre questi popoli >dell'Europa Orientale in condizioni coloniali, si tratta di portare a >termine lo sterminio degli ebrei. >STUDENTESSA: Io volevo sapere che rapporto c'è, o anche che >differenza, tra i campi di sterminio tedeschi e il gulag. Perché sul >libro di storia si dà sempre più importanza ai campi di sterminio >tedeschi? Perché si parla più di questi che del gulag? >Questa domanda è importante. Io credo che a questa domanda si debba >rispondere con una storia dei campi di concentramento. I campi di >concentramento non sono iniziati nel Novecento. Non sono iniziati né >con Hitler e neppure con Stalin. Per esempio i campi di concentramento >caratterizzano tutta la tradizione coloniale. Quando Cuba nel 1898 si >ribella contro il dominio spagnolo, gli Spagnoli introducono i campi di >concentramento. Gli Stati Uniti nella guerra contro la Spagna strappano >alla Spagna Le Filippine, si ribellano e noi abbiamo, anche in questo caso >i campi di concentramento. I campi di concentramento poi si diffondono nel >corso della Seconda Guerra Mondiale anche in altri paesi. Io credo >però che non possiamo mettere tutto sullo stesso piano. Innanzi >tutto si tratta di vedere in che modo noi configuriamo il nemico. Se il >nemico noi lo configuriamo in termini naturalistici, razziali, l'ebreo in >quanto tale, indipendentemente dal comportamento concreto che assume, come >un virus che deve essere estirpato, ecco che questo conflitto non può >che terminare nella soluzione finale. In questo senso effettivamente >l'universo concentrazionario nazista ha delle caratteristiche che non >possono essere assimilate a quelle di altri universi concentrazionari, di >cui, pure, non si deve negare l'orrore. Forse vi interessa questa storia >dei campi di concentramento. Noi possiamo interrogarci, per esempio, sul >campo di concentramento nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Ecco, da >questo punto di vista, vi posso dire che il campo di concentramento, nel >corso della Seconda Guerra Mondiale, fa la sua apparizione anche negli >Stati Uniti d'America. Quando scoppia la guerra tra Stati Uniti e Giappone, >Franklin Delano Roosevelt decide di >rinchiudere in campi di concentramento tutti i cittadini americani di >origine giapponese, compresi donne e bambini. Ecco, questo ci conduce >invece ad un altro aspetto del conflitto: all'aspetto della guerra totale. >Finora abbiamo visto - è a questo che fa allusione la Stella di >Davide, che qui è in studio - soprattutto il conflitto tra popoli che >si considerano espressione esclusiva o privilegiata della civiltà e i >barbari, gli "intermensions", come Hitler diceva sia degli ebrei, >sia delle popolazioni dell'Europa Orientale. Adesso noi possiamo vedere un >altro aspetto: il conflitto tra le grandi potenze. Ma, prima di vedere >quest'altro aspetto, credo che convenga vedere il filmato di Furet, >perché intendo polemizzare per l'appunto a proposito di questo >filmato. >FURET: L'aspetto che mi interessa di più nell'analisi del >totalitarismo è che, in una certa misura, mi ha avvicinato alle >posizioni di Ernst Nolte. E' che entrambi i regimi totalitari di questo >secolo, quello fascista e quello comunista, hanno, secondo me, una genesi >democratica, cioè trovano origine in una debolezza della società >liberale, nella sua incapacità di costituire un corpo politico. E' >caratteristico delle società totalitarie pensare il corpo sociale come >unità e costruire questa unità del corpo sociale, a partire dalla >sua identificazione con il partito stato. E' una profonda intuizione, >un'idea sostenuta in Francia da Claude Lefort. Io credo che fascismo e >comunismo possano essere pensati in una prospettiva comune, perché >sono regimi che rispondono allo stesso deficit, al deficit della >società liberale. Ma la questione è complessa. Non credo infatti >che si possano mettere nello stesso sacco il fascismo italiano e >il nazismo tedesco. Questa confusione mi ha sempre infastidito. De Felice >pensava la stessa cosa. Il fascismo italiano, benché abbia inventato >la parola "totalitario", è un fascismo che rispetta in parte >l'autonomia delle strutture esistenti: la monarchia, la chiesa cattolica. >Il fascismo lascia respirare la società assai più del nazismo. E >poi il fascismo, in Italia, proviene dalla tradizione di Sinistra, a >differenza del nazismo, che proviene dalla Destra tedesca. Perciò sono >incline a pensare, anche se non è un argomento di mia competenza, che >il termine generico di "fascismo" non è efficace per >analizzare insieme il razzismo hitleriano e il regime mussoliniano, non >è veramente utile alla ricerca storica. >Losurdo: Ecco, devo dire che la tesi di Furet mi convince molto meno di >quella di Nolte, nel senso che l'approccio dello storico francese è un >approccio puramente ideologico, cioè ci sarebbe stata una teoria a >partire dalla quale si può dedurre il nazismo da un lato e il >comunismo dall'altro. Ma insomma in realtà, persino se noi facciamo la >storia del termine "totalitarismo", questa rinvia alla Prima >Guerra Mondiale. A partire dalla Prima Guerra Mondiale si parla di >mobilitazione totale, di guerra totale, talvolta di politica totale. >Prendiamo un grande sociologo del nostro tempo, del Novecento, Max Weber. >Max Weber nel 1917 dichiara: "Lo stato ha un potere legittimo, di >vita, di morte, sui cittadini'". Perché in effetti che cosa >avviene? C'è la mobilitazione totale, chi diserta viene passato per le >armi. Pensate a quello che si verifica in Italia, cioè un paese di >tradizione liberale! C'è la decimazione, la pratica della >decimazione. Cioè, quando un corpo militare viene considerato poco >combattivo, poco pugnace nei confronti del nemico, e non si riesce ad >accertare una responsabilità individuale, ecco, viene fatto schierare, >si conta fino a dieci, il decimo viene fucilato. E' chiaro che c'è >già in questa pratica tutto l'orrore del totalitarismo del Novecento. >Quindi, secondo me, il totalitarismo è un regime che corrisponde allo >stato d'eccezione e alle condizioni della guerra totale. L'approccio di >Furet è decisamente ideologico. >STUDENTE: Professore, ho letto di un conflitto intellettuale tra Nolte e >Habermas. In che cosa consiste, come rispondeva Habermas a Nolte ? >Habermas è un aspro critico di Nolte, e quindi, da questo punto di >vista, è chiaro che insiste sull'orrore tutto peculiare del nazismo. >Devo dire che io non mi identifico totalmente neppure con Habermas, >perché, come dicevo, Habermas dimentica quello che si è >verificato in altri paesi, al di fuori della Germania e dell'Unione >Sovietica. Dicevo il campo di concentramento fa la sua apparizione in tutti >i paesi impegnati nel conflitto. Per esempio, negli Stati Uniti Franklin >Delano Roosevelt fa rinchiudere i cittadini americani, di origine >giapponese, razziandoli persino dall'America Latina. Ancora più >significativo è quello che avviene in Francia. In Francia, al momento >dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, vengono rinchiusi in campo di >concentramento gli stessi antifascisti, che erano fuggiti dalla Germania. >C'era la preoccupazione di qualche spia o di qualche provocatore tedesco >nazista. Quindi, in realtà, l'universo concentrazionario >corrisponde alla guerra totale. Ma naturalmente questo universo >concentrazionario si presenta con caratteristiche radicalmente diverse nei >diversi paesi e nel nazismo mira, per quanto riguarda gli ebrei, allo >sterminio e, per quanto riguarda i cosiddetti "indigeni" >dell'Europa Orientale, ad un radicale sfoltimento, per lasciare spazio alla >colonizzazione germanica e ariana. Quindi io credo che sia difficile >identificarsi sia con le posizioni di Nolte, ma anche con quelle di >Habermas. >STUDENTE: Anche per i gulag si può parlare di una soluzione finale? >Secondo me, no, non si può assolutamente parlare di soluzione finale. >E credo che questo risulti con chiarezza dalle stesse accuse che Nolte e >Furet rivolgono all'Unione Sovietica e al bolscevismo. Di cosa viene >accusata l'Unione Sovietica e il bolscevismo? Di aver scatenato la guerra >civile internazionale. Cosa significa guerra civile internazionale? >Significa che ogni azione, ogni gruppo etico, viene diviso trasversalmente, >nel senso che si distingue tra proletariato e borghesia, cioè si fa >riferimento ad un comportamento politico concreto, che può essere >modificato. Mentre invece la soluzione finale significa genocidio, >significa che un intero gruppo etnico, indipendentemente dal comportamento >che assume è destinato ad essere soppresso. Pensate, per >esempio, alla tragedia degli ebrei in Germania. Spesso si erano distinti, >nel corso della Prima Guerra Mondiale, come soldati e ufficiali, che >avevano conseguito anche le più alte decorazioni militari. Ma tutto >questo diventa irrilevante agli occhi del Terzo Reich perché sono >ebrei, espressione di questo virus che deve essere comunque sterminato. >Quindi noi dobbiamo vedere le differenze pur sottolineando l'orrore del >gulag sovietico, su questo non c'è dubbio. >STUDENTE: Lei non si identifica con Nolte, non si identifica né con >Furet né con Habermas, ma Lei è un revisionista. E allora quali >tesi porta avanti, quali tesi nuove? >Io ho già detto di non essere revisionista proprio perché del >revisionismo ho dato una definizione, che è quella della >demonizzazione della tradizione rivoluzionaria e quindi della >bagatellizzazione del fascismo e del nazismo. Naturalmente è chiaro >che io intendo procedere a una rilettura della storia, e, secondo me, le >due tesi centrali del mio libro, a cui prima facevo riferimento, sono >queste: primo, il nazismo è una radicalizzazione della tradizione >coloniale. Noi non possiamo comprendere l'orrore del nazismo senza tener >presente l'orrore della tradizione coloniale. Non è un caso che >Hitler, guarda, come a modello, gli Stati Uniti, che si diffondono nel Far >West, ai coloni bianchi, che si diffondono nel Far West. Questo è il >primo punto. Il secondo punto: ho sottolineato che il Novecento non è >semplicemente il secolo del confronto tra bolscevismo e nazismo, è >anche il secolo del conflitto tra le grandi potenze per l'egemonia >mondiale. A questo fa riferimento il mappamondo, che compare nello studio. >No? E' chiaro, è il conflitto tra le grandi potenze per l'egemonia >mondiale. E, a partire da questo conflitto, noi vediamo emergere il >fenomeno della guerra totale, l'irregimentazione totale, la pratica della >decimazione, il superamento del principio della responsabilità >individuale. Pensate, per esempio, anche in Italia, un paese di tradizioni >liberali, già nel corso del Primo Conflitto Mondiale, lo Stato >maggiore esigeva misure nei confronti dei parenti di coloro che avevano >disertato, anche se questi parenti non erano per niente corresponsabili di >questo delitto. Vedete, è superato il principio della >responsabilità individuale, dunque bisogna partire anche dalla Prima >Guerra Mondiale. >STUDENTESSA: A proposito del contrasto tra Nolte e Habermas, Nolte sostiene >che per la Germania ci debba essere un certo diritto all'oblio, per tutto >quello che è successo e per far sì che comunque come nazione si >ricostituisca e possa andare avanti in maniera completamente anche diversa >da quello che è accaduto, mentre invece Habermas sostiene che >comunque, se è un passato che deve passare, non è ancora il tempo >adesso di dimenticare quel passato e considerarlo passato. Lei che ne >pensa? >Ma io penso che noi dobbiamo conservare la memoria storica delle vittime, >penso però, a differenza di Habermas, che il problema sia di carattere >più generale. Per esempio, se noi passiamo dall'Europa all'America, >noi vediamo che i discendenti dei pellerossa parlano di "american >olocaust", di "olocausto americano", che ha visto come >vittime gli Indios; gli afro-americani, parlano persino di un "black >olocaust", cioè di un "olocausto nero", per il fatto >che per secoli i neri sono stati schiavizzati, quindi da questo punto di >vista noi dobbiamo tener presente queste tre grandi tragedie, che >caratterizzano la storia dell'umanità: gli indiani, ripeto i neri e >gli ebrei. Queste tragedie hanno caratteristiche peculiari e, per quanto >riguarda gli ebrei, si è trattato nel Novecento di un tentativo di >sterminio totale, si discute sulle analogie e sulle differenze, e però >queste grandi tragedie devono far parte della >memoria storica, non solo della Germania, ma anche dell'Occidente e del suo >complesso. >STUDENTESSA: Professore, Lei ha detto che durante il colonialismo venivano >istituiti dei campi di lavoro, proprio col fine di assoggettare un popolo. >Quali possono essere le analogie invece con i campi di sterminio istituiti >durante il nazismo al fine di sterminare invece una razza? >I campi di concentramento propriamente detti della tradizione coloniale non >avevano come fine lo sterminio di una razza; se mai la tentazione dello >sterminio si è verificata soprattutto nei confronti degli Indios. Gli >Indios sono stati considerati una zavorra inutile, di cui bisognava >sbarazzarsi, mentre i neri sono stati considerati gli strumenti di lavoro >per eccellenza, di cui era utile possederne in quantità. Per quanto >riguarda gli Indios è noto che più volte sono state diffuse >coperte infette di vaiolo tra i pellerossa, più volte si sono >verificati massacri su larga scala. Gli storici ancora continuano a >discutere se in certi casi, per certi gruppi etnici degli Indios, si è >verificato un vero e proprio genocidio. Però io direi che >abbiamo tre figure idealtipiche nella storia dell'Occidente: gli Indios, la >zavorra di cui i colonizzatori volevano sbarazzarsi, i neri, gli schiavi, >strumenti di lavoro, e invece l'ebreo, l'agente patogeno, che deve essere >sterminato, almeno nella mentalità folle e criminale di Hitler. >STUDENTE: Il revisionismo storico, non è in parte il risultato del >fatto che la storiografia, ha dedicato molta importanza alle società >sconfitte, quindi alla Germania nazista, tralasciando le colpe degli >Alleati? >Sì, io credo che sia giusta questa osservazione. Per quanto riguarda >il gulag in realtà si parla già abbastanza, soprattutto dopo il >crollo del comunismo in Europa Orientale. >STUDENTE: Sì, però abbiamo comunque dovuto aspettare quarant'anni >prima che se ne parlasse approfonditamente. >Certamente ed è giusto, secondo me, che noi dobbiamo dare adesso uno >sguardo complessivo. Ho già detto, per quanto riguarda il gulag, le >differenze radicali che ci sono rispetto ai campi di sterminio razzisti. >Nel gulag Stalin cerca e trova una forza-lavoro coatta, che deve essere >utilizzata per la realizzazione dei piani quinquennali, e quindi per poter >condurre anche la guerra contro la Germania razzista. Comunque, in un certo >senso, i prigionieri dei gulag staliniani sono una sorta di schiavi neri. >Non sono neri ovviamente, ma se assumiamo questa figura in senso >idealtipico, ripeto, è una forza-lavoro coatta. Un caso ancora diverso >è quello che si verifica, a proposito degli Stati Uniti. Ho parlato >dei campi di concentramento, in cui vengono rinchiusi gli americani di >origine giapponese, qualche tempo fa c'è stata una polemica, scatenata >da uno storico canadese, il quale ha accusato Eisenhower di aver provocato >coscientemente la morte per inedia di >centinaia di migliaia di prigionieri tedeschi, appunto nei campi di >concentramento, nei campi di prigionia americani. Ci sono state smentite, >ma insomma persino testimoni oculari, le guardie americane hanno confermato >almeno una parte delle accuse. Però, anche in questo caso, io farei >una distinzione. Cioè i tedeschi non vengono razzizzati dagli Stati >Uniti come un popolo che deve essere in ogni caso sterminato, Tant'è >vero che con lo scoppio della Guerra Fredda c'è persino un'alleanza >tra Stati Uniti e Germania, così come c'è anche un'alleanza tra >Stati Uniti e Giappone, che pure ha subito l'orribile bombardamento atomico >di Hiroshima e Nagasaki. Quindi senz'altro noi dobbiamo avere uno sguardo >più equilibrato. Siamo costretti, siamo obbligati a storicizzare, ma >senza per questo cancellare le differenze. Quindi ben venga una >ricostruzione dei crimini commessi a danno dei vinti. E però, quando >parliamo dei vinti, noi non dobbiamo tener >presente soltanto la Seconda Guerra Mondiale. Come accennavo prima, noi >dobbiamo tener presente tutti i vinti della storia dell'Occidente e della >storia dell'umanità. Voglio qui citare uno storico afro-americano, che >ha così sintetizzato la storia dell'Occidente: "L'Occidente ha >deportato milioni di schiavi neri dall'Africa per costringerli a lavorare >la terra, strappata agli indiani, che vengono deportati e ricacciati, fino >a scomparire nel nulla". Ecco, secondo me, una storia che voglia >veramente, per un verso conservare la memoria e ricordare le ragioni dei >vinti, deve tener conto anche di queste due grandi tragedie, senza le quali >non possiamo neppure comprendere l'orrore del Terzo Reich. >STUDENTESSA: Professore, Lei prima accennava al legame che c'è tra >revisionismo e politica. Mi può spiegare meglio qual'è questo >rapporto? Cioè il revisionista ha per forza un determinato credo >politico o non è così? >Beh, le opinioni di questi storici, che noi sussumiamo sotto la categoria >di revisionismo storico, le opinioni sono tra loro anche piuttosto diverse. >Su questo non c'è dubbio. Nolte non è Furet, non è neppure >De Felice, ma soprattutto ci sono tutta una serie di altri autori. >Però, è chiaro, una volta che si prenda in considerazione la >definizione che io ho dato del revisionismo storico, che la liquidazione >della tradizione rivoluzionaria nel suo complesso, è chiaro che le >conseguenze politiche sono immediate. Per esempio, secondo me, deve essere >considerato revisionista, anche uno storico inglese o anglo-americano, che >si chiama Paul Johnson, che liquida ferocemente le rivoluzioni >anticoloniali, e anzi riabilita il colonialismo. E' chiaro che questa >riabilitazione del colonialismo può ben essere comoda in una >situazione come quella attuale. Quindi il rapporto tra cultura e politica, >tra rilettura storica e anche lotta politica, a me sembra >perfettamente evidente. >STUDENTE: Professore, volevo sapere, si può fare un parallelo tra lo >sterminio degli ebrei e lo sterminio di intere città, come Nagasaki e >Hiroshima, appunto? Si può considerare, si può mettere sullo >stesso piano? >Sullo stesso piano non si possono mettere, però il problema che lei >solleva è un problema reale. D'altro canto storici americani hanno >fatto a questo confronto. Perché inizialmente bisogna procedere a >questo confronto? Perché in effetti la guerra, che si sviluppa in >Estremo Oriente tra Stati Uniti e Giappone, spesso assume caratteristiche >razziali. I giapponesi, almeno per un certo tempo, vengono considerati una >razza gialla, non superiore ai pellerossa o ai neri. Quindi questa guerra >assume caratteristiche razziali. Sul finire del conflitto mondiale, ci sono >persino voci che si sollevano nell'ambito degli Stati Uniti, che >sollecitano una sorta, se non di soluzione finale della questione >giapponese, comunque misure drastiche. Ed è probabile, è >possibile che la distruzione di intere città, a guerra ormai terminata >o quasi, è possibile che questa distruzione abbia avuto anche una >componente razziale, di guerra di annientamento. E però ancora una >volta io non metterei i diversi fenomeni sullo stesso piano. Come citavo >prima, come dicevo prima, non a caso, nonostante queste forti tentazioni di >sterminio in massa, i giapponesi diventano poi alleati degli Stati Uniti >nel corso della Guerra Fredda. Quindi, secondo me, si tratta di distinguere >il modo in cui viene configurato il nemico. Se il nemico è >un'entità naturalistica, razziale, immodificabile, il conflitto >può terminare solo con la soluzione finale. Se il nemico viene >configurato in modo diverso, nonostante i massacri che si possono >verificare, e si sono verificati, la soluzione finale non è >d'obbligo. >STUDENTE: Professore, esiste un rischio che le teorie revisionistiche >diventino un mezzo per nuovi politici che vogliono riaffermare le idee del >nazifascismo? >Io non credo ad un riproporsi del pericolo del nazifascismo nei termini in >cui storicamente si è verificato. La storia ci mette in presenza di >fatti incessantemente nuovi. Il che non significa che non ci siano >pericoli. Io credo che lei abbia individuato un problema centrale: insomma >che il revisionismo, la cancellazione dalla memoria storica, la >cancellazione dei crimini commessi da certe grandi potenze o dalle grandi >potenze, certamente questa cancellazione ha il significato di un mito >genealogico. Cioè una grande potenza può pretendere di svolgere >la sua missione imperiale, una volta che ha ritrascritto la sua storia, >cancellando le pagine peggiori. Questo in Germania, questo fenomeno, è >particolarmente presente. C'era un politico di Destra; si chiamava Franz >Joseph Strauss, il quale diceva che la Germania deve tornare ad essere un >nazione come le altre, proprio perché possa svolgere la sua funzione >importante nel mondo. Se mai dobbiamo porci il >problema, se questa tendenza esiste soltanto per la Germania. Ma, insomma, >quando ad esempio i politici americani parlano degli Stati Uniti, come la >prima democrazia nel mondo e che per queste stesse ragioni deve svolgere >una missione - spesso si parla di missione -, mi chiedo se noi non abbiamo >lo stesso meccanismo all'opera. Perché? Perché questa definizione >di America come prima democrazia del mondo è sostenibile soltanto se >noi dimentichiamo la sorte dei neri, schiavizzati almeno fino al 1865, >cioè sino alla fine della Guerra di Secessione e dimentichiamo la >sorte degli Indios, che sono stati in ultima analisi cancellati dalla >faccia della terra. Ecco, anche in questo caso, l'oblio delle grandi >tragedie può diventare un mito genealogico in funzione della >legittimazione di una missione imperiale che una grande potenza affida a se >stessa. >STUDENTESSA: Professore, scusi ma il continuo susseguirsi di idee e teorie >revisioniste, ci deve far capire che non vi è una verità >assoluta, per quel che riguarda la storia? >Ma io non so se esiste una verità assoluta né per la storia >né per altre discipline. E' evidente che ogni storico porta con >sé le sue passioni anche politiche, civili. E' evidente che ogni >storico porta con sé le sue interpretazioni. Lei sa che Benedetto >Croce, quindi un filosofo italiano, diceva che ogni storia è una >storia contemporanea, proprio nel senso che la ricostruzione di una epoca >storica ha sempre delle ricadute sull'attualità politica. Ecco, ma >questo non significa che tutte le interpretazioni possono essere messe >sullo stesso piano. Ci sono interpretazioni che si fondano su evidenti >manipolazioni e su evidente falsificazione, e, comunque, si tratta di >accogliere quelle interpretazioni che sono in grado di spiegare il maggior >numero possibile di fatti. Per il resto è evidente che, fin quando ci >sarà storiografia, ci sarà un'opera di rilettura del passato. >STUDENTESSA: Professore, secondo Lei le forme di razzismo che ancora oggi >ci sono, da cosa derivano, da un mancato studio o da cos'altro? >Il razzismo attraversa un po' la storia dell'Occidente, però noi >dobbiamo saper vedere le differenze che di volta in volta si manifestano. >Ad esempio noi possiamo prendere un autore liberale, John Stuart Mill, >nella seconda metà dell'Ottocento. Lui giustifica il colonialismo, il >potere assoluto delle grandi potenze a danno delle razze, che lui definisce >minorenni. John Stuart Mill è un razzista nel senso di Hitler? >Certamente no, perché John Stuart Mill prevede la possibilità che >queste razze minorenni diventino maggiorenni. E quindi, da questo punto di >vista, prevede la possibilità della scomparsa del dominio coloniale. >Invece è chiaro: nel caso di Hitler c'è una naturalizzazione >greve. Da una parte c'è il popolo eletto o popoli eletti, dall'altra >parte popoli che devono essere ridotti in condizioni coloniali, per non >parlare dell'agente patogeno che deve essere sterminato. Ecco, oggi io >credo che, nonostante tutto, a parte esagitati >insomma, nella cultura diffusa, è difficile che si ripresenti il >razzismo nella forma hitleriana. E' più facile, secondo me, che ci sia >un pathos esaltato dell'Occidente, come luogo esclusivo o privilegiato >della civiltà in contrapposizione agli altri popoli, a cui quindi >possono essere negati determinati diritti. E' questo il pericolo che io >vedo, non un razzismo nel senso forte del termine, ma comunque una >discriminazione a danno dei popoli, che, di volta in volta, consideriamo >barbari. Tutto questo però è molto pericoloso. E' molto >pericoloso perché ci riconduce alla storia del Novecento. Insomma noi >possiamo porci una domanda finale: il Novecento è il secolo in cui >hanno fatto la loro apparizione il campo di concentramento, le >deportazioni, i massacri, i genocidi, oppure invece è il secolo in cui >tutti questi orribili fenomeni hanno fatto la loro apparizione anche in >Europa, dopo avere attraversato la tradizione coloniale? La mia >risposta è questa seconda tesi. Deportazione, massacri, eccetera >attraversano la storia della tradizione coloniale e fanno poi nel Novecento >la loro apparizione anche in Europa. In questo senso se non facciamo fino >in fondo i conti con la tradizione coloniale non possiamo comprendere >l'orrore del Novecento e non possiamo conservare la memoria che dobbiamo >pure conservare.