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Alessandro Rizzo writes: >Tutti gli orrori di Bolzaneto 2001 >Un processo che è scivolato via quasi ignorato dai media. E che invece >ha raccontato una Guantanamo all'italiana. Dalle prime denunce dei giovani >appena rilasciati alle testimonianze in aula. Un campionario di botte, >minacce e inni fascisti. E la visita del ministro Castelli >Simone Pieranni > >da Il Manifesto del 12 marzo 2008 >Genova >«La Guantanamo italiana», la «Caserma degli Orrori», la >«banalità del male». Così un piccolo comune alla >periferia della Genova marinara e montuosa, in bilico tra antiche spiagge >della vicina Sampierdarena, e piccole alture dopo Pontedecimo, è >assurta a simbolo di qualcosa che i propri abitanti, fino al 2001, >ignoravano. Quella caserma era così vicina, ma quasi sconosciuta. A >Bolzaneto la vita delle persone è da tempo intenta, per lo più, >ad osservare il passaggio tra una zona anticamente di campagna e la >proliferazione di uscite autostradali, bretelle ecomostruose, nuovi >insediamenti prefabbricati. La caserma, nel luglio 2001, ha reso noto >all'Italia intera il piccolo centro abitato della Valpolcevera ligure. >L'enormità di quanto accaduto tra le mura della caserma, ha trovato - >a sprazzi - spazio nelle cronache giornalistiche con appellativi diversi, >macabri e memori di tempi passati o quanto meno, supposti tali. >Invece. Invece Bolzaneto ha rivelato alcuni tra gli anfratti più >biechi di quanto accadde a Genova nel luglio del 2001. In tempi in cui la >sicurezza è al primo posto nei programmi pre elettorali, né >Bolzaneto, né la Diaz, appaiono come brevi, seppure intense, grida di >attenzione per i politici italiani. E' scivolato via, il processo di >Bolzaneto, come se fosse un lato minore degli eventi di quei giorni. >Perché, al contrario della Diaz, non ci sono alti papaveri delle forze >dell'ordine imputati: sono solo banali uomini normali, in divisa. Medica o >delle forze dell'ordine. Al contrario dei processi contro i no global, sui >quali con allegria si suona sempre la grancassa, Bolzaneto era meno >mediatica: troppa paura, forse, che qualcosa del genere potesse capitare ai >propri lettori desiderosi di sicurezza e fiducia nella forze dell'ordine. >Il processo trasparente, così straziante e silenzioso, è giunto >però all'epilogo. Ieri le richieste >dell'accusa hanno portato una prima parziale chiusura del lungo >procedimento, in attesa che la macchina della giustizia, scriva la >definitiva parola fine. >L'inizio invece, era arrivato da una denuncia pubblica. Dopo avere raccolto >le testimonianze dei ragazzi arrestati, che lamentavano vessazioni a >Bolzaneto, i giudici hanno ascoltato direttamente il giornalista di >Panorama, Giacomo Amadori, già autore a suo tempo nell'agosto 2001, >dell'articolo intitolato «C'è una crepa nel muro dei >G.O.M.». Quest'ultimo, rinunciando al segreto professionale, fece i >nomi delle proprie fonti, grazie alle quali era giunto a conoscenza delle >violenze perpetrate ai danni delle ragazze e dei ragazzi che erano >transitati a Bolzaneto. L'inchiesta partì e giunse a processo con 46 >imputati tra personale di polizia, polizia penitenziaria, carabinieri e >personale medico. Emergono poi riconoscimenti e angoscianti racconti. >Più di tutto, nelle mattinate d'aula bunker genovese, si ha la >sensazione di entrare nelle traiettorie micidiali di quella caserma, stanza >per stanza, metro per metro. >Il comitato d'accoglienza >Della caserma di Bolzaneto si conosce la piantina. Al contrario della Diaz >si sanno anche i turni di entrata e di uscita di tutto il personale. Doveva >essere un luogo di smistamento degli arrestati in piazza. Prima di entrare, >gli arrestati venivano fatti scendere dai pullman in un piazzale antistante >l'ingresso della caserma. Di fronte a loro persone delle forze dell'ordine, >ricevevano, a modo loro, gli ospiti. Prima di addentrarsi nei corridoi tra >le celle e l'infermeria, una dose di sgambetti, calci, insulti e minacce si >librava all'esterno. Come a fare intendere che in quel luogo, nessuno >avrebbe potuto curarsi di quanto sarebbe accaduto. «Con Berlusconi, >con quelli come voi, facciamo quanto vogliamo». Una tra le tanti frasi >dette da un esponente delle forze dell'ordine e ricordate in aula da una >delle vittime. >Ali di corvo >Nel campionario di termini militareschi ascoltati nei processi genovesi - >qualcuno ha citato Zun Tzu, altri tecniche di guerriglia, altri minimizzato >o celebrato (su tutti Francesco Gratteri quando sostenne che «le >perquisizioni non si fanno con i guanti», riferendosi alla Diaz) - le >«Ali di corvo» entrano tristemente agli atti del processo di >Bolzaneto. >E' la descrizione dei primi passi all'interno della caserma: il corridoio >verso le celle, percorso dai ragazzi tra le ali di poliziotti pronti a >picchiare, ingiuriare, minacciare. «Ci deridevano dicendoci che ci >avrebbero usato come le sagome dei poligoni di tiro». >Nelle celle. Nei corridoi. Cantando >Gambe larghe, in piedi, braccia alte al muro. E' la posizione che tutti i >testimoni di Bolzaneto hanno ricordato perfettamente. Costretti per ore, >senza potersi muovere e sotto le minacce e le umiliazioni verbali. «Se >non urlavamo viva il duce, venivamo picchiati», persone costrette a >cantare canzonette oscene, come la tremenda «un due tre viva >Pinochet» e ancora la «parata» cui erano costretti i ragazzi >per uscire dalle celle: braccio teso e passo di marcia, sotto la minaccia >di poliziotti e agenti penitenziari. Nell'aula del tribunale di Genova era >piombato il silenzio, quando i testimoni sembravano ripetere quegli stessi, >identici racconti. Per i pm le «costrizioni consistenti nell'obbligo >imposto con violenza o minaccia alle parti offese di inneggiare con parole >o gesti (saluto romano, passo dell'oca) al fascismo o al nazismo», >costituiscono violenza privata, nella ricerca dei reati adatti. Perché >in Italia, il reato di tortura, non >c'è. >Sui cori fascisti, anche una deposizione sui generis. Di un ragazzo, >romano, capitato nei disordini genovesi, ma di idee contrarie alla >maggioranza della gente giunta a Genova per protestare. Lui si definiva di >destra. Un suo compagno di cella racconterà l'episodio: «Allo >stadio mi denunciano se canto faccetta nera, qui mi obbligano a >cantarla», gli avrebbe infatti detto il romanista di destra. >Trattamenti inumani e degradanti >«Gli agenti, dalla finestra della cella, ci insultavano: >"puttane", "troie", "ora vi scopiamo >tutte"». A portare in aula per prima, gli insulti a sfondo >sessuale è una genovese di 25 anni, arrestata nella tarda serata del >venerdì 20 luglio 2001. La sua deposizione porta alla luce tutto il >repertorio di insulti e umiliazioni sessiste subito dalle ragazze, e con >esso il clima di becero machismo presente nella caserma. C'è chi si >ricorda le parole precise, puntate dritte sulle ragazze inermi: «gli >agenti dicevano che le avrebbero dovute stuprare come in Bosnia». Le >minacce di stupro, subite da molte vittime, sono state ampiamente >sottolineate dai pm: «come in ogni caso di tortura - avevano già >scritto nella memoria - avvennero grazie all'impunità percepita, >ovvero quel meccanismo fatto di omissioni per cui i responsabili non >vengono puniti e le vittime terrorizzate hanno paura di denunciare i >maltrattamenti subiti». >Il medico di Napoleone a Bolzaneto >«Al medico avevo raccontato che mi avevano rotto il labbro, ma lui >disse che erano fatti miei, che me l'ero fatto da solo». Non furono da >meno i membri del personale sanitario di Bolzaneto. Il loro capo, Giacomo >Toccafondi, aveva ideato per l'occasione, un sistema di visite particolare: >dapprima gli arrestati dovevano sottoporsi al triage. Una visita sommaria, >un'invenzione dei medici napoleonici, come ha spiegato lo stesso Toccafondi >in aula, con l'aria di raccontare l'ultima scampagnata sui piani di >Praglia, sulle alte genovesi. «Era il metodo, ha detto, con il quale i >medici di Napoleone decidevano chi andava curato e chi lasciato >morire». Niente male. Poi c'era la visita più complessiva, quella >durante la quale vennero picchiate le ferite, strappati i piercing, fatte >spogliare le ragazze: lì si decideva se serviva il ricovero o >l'arresto. In pratica, esito scontato. >Il ministro che non vede >Chi avrebbe potuto vedere, ma non ha visto, fu l'allora ministro della >Gustizia Roberto Castelli, giunto a Bolzaneto per assicurarsi che tutto >funzionasse. Evidentemente soddisfatto, il ministro se ne andò, senza >notare nulla di strano. >In seguito Bolzaneto è venuta fuori, in tutta la sua drammatica >realtà. Ieri la quantificazione giuridica degli abusi commessi, da >parte dell'accusa. Un numero che conterà poco, sempre, se paragonato a >quelle ore di botte e insulti, così difficili da ricordare, così >impossibili da dimenticare.