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Alessandro Rizzo writes: >X GIORNATA DELLA MEMORIA >CONTRO TUTTE LE MAFIE >don Luigi Ciotti >Roma, 17 marzo 2005 > >Eravamo partiti da Roma dieci anni fa, il 21 marzo del 1996. Una giornata >straordinaria: non una celebrazione, ma una dichiarazione di impegno per il >futuro e di doverosa attenzione per il passato. Un passato che aveva e che >ha i volti e i nomi delle troppe vittime delle mafie. Una orazione laica, >che ha inteso fare della memoria l'indispensabile fondamento del futuro. >Con "Libera", promotrice della Giornata, con le tante >associazioni e i rappresentanti delle istituzioni, a partire dall'allora >Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, ma soprattutto con i moltissimi >cittadini che sono intervenuti. Con i parenti delle vittime, con i giovani >che si sono susseguiti nel leggere il doloroso elenco di vite spezzate >dalla violenza. Avevamo pensato e voluto quella iniziativa come una sfida >per il presente. Una sfida senza arroganza o presunzione. Una sfida per >cominciare un percorso, scommettere sulla partecipazione: perché solo >essa è realmente capace di promuovere e >difendere la legalità. Solo insieme si battono le mafie, si edificano >democrazia e giustizia. Una sfida non solo alle attività criminali, >agli omicidi, alle stragi, ma anche a quel "sentire" mafioso che >avvelena la società, corrompendone le culture e ipotecandone il >futuro. Il futuro è nostro e si costruisce con "mattoni" di >presente: per questo è importante aprire gli occhi su tutto il >"positivo" che c'è: il grande sforzo della Magistratura e >delle Forze dell'Ordine per contrastare le mafie, l'impegno di tanti >amministratori, sindaci, assessori. Il fermento di attività che ci >hanno restituito parte del Territorio, attraverso la confisca dei beni dei >mafiosi. Ancora, l'energia del mettersi in gioco, la fatica e la gioia >dello sport pulito; la condivisione di sogni e speranze. In una parola, la >strada, a volte scomoda, che abbiamo fatto insieme in questi dieci anni. >Abbiamo creduto alla promozione culturale e lavorato >per lo sviluppo sociale, attraverso percorsi educativi. >Tutti sappiamo che la mafia non dà, toglie: ruba la vita di coloro che >considera propri nemici e, assieme, la dignità, i diritti, le >opportunità di tutti. L'economia criminale, concentrata nella mani di >pochi, costituisce una grave sottrazione di risorse alla collettività, >compresi i giovani manovali che riesce ad arruolare e che distruggono la >propria e le altrui vite per un tozzo di pane. In questi anni quante parole >abbiamo detto. Le parole sono importanti per distruggere stereotipi e >luoghi comuni che rafforzano le sottoculture e il "sentire" >mafioso. Però le parole non bastano, sono distanti dalla vita, dalle >necessità, dai problemi reali. Sono un rumore di sottofondo che non si >misura con la necessità di cambiamento. Ormai ci siamo abituati e non >lo sentiamo più, storditi dai messaggi di disimpegno, dalle veline e >dai telequiz che ingombrano tutti i canali e raccontano di un mondo di >plastica, di immagini finte e di persone >prive di verità. Non è quella la realtà, non è quello >il mondo, non sono quelli i valori che i nostri ragazzi devono sentire come >propri, come le cose che contano, per le quali vale la pena di vivere. >La partecipazione è un antidoto rispetto al veleno della >passività, che svuota la democrazia dall'interno, come abbiamo visto >in modo crescente e preoccupante negli anni più recenti. E, assieme, >è difesa di fronte alle incoerenze, alla retorica, alle troppe parole >vuote che addormentano le coscienze. Noi, "a occhi aperti", >vogliamo sognare. Il sogno ci aiuta a non appiattirci nella >quotidianità, a non accontentarci delle promesse, a non spegnerci >nell'abitudine e nella rassegnazione. Ma il sogno deve sapersi fare segno: >deve incidersi nella vita di tutti i giorni, deve trasformarsi in presente >diverso, deve rendersi riconoscibile agli altri per poter essere condiviso. > >Camminare assieme è la premessa e il contenuto del futuro che >vogliamo. E che, anche oggi, siamo qui a disegnare. Insieme. Proprio come >dieci anni fa, in questo stesso Campidoglio, in questo stesso primo giorno >di primavera. La primavera è un annuncio che bisogna vivere, >annusandone gli odori e riconoscendone i colori. Dieci anni fa erano qui >con noi alcuni amici, che ci mancano molto. Antonino Caponnetto >-"Nonno Nino", per come hanno imparato a conoscerlo tantissimi >giovani -e Saveria Antiochia, la mamma di Roberto, l'agente di polizia >ucciso a Palermo insieme al commissario Cassarà. E poi con noi c'erano >anche Gianmario Missaglia, una delle anime fondatrici della nostra >associazione e Tom Benetollo, indimenticabile presidente dell'Arci. Questa >giornata è dedicata anche a loro: ai giovani di ieri e a quelli di >oggi, accomunati dalle difficoltà di comunicazione con il mondo degli >adulti, dalla mancanza di luoghi in cui riconoscersi e operare, di >opportunità rubate e tuttora negate. Accomunati anche dalle >preoccupazioni. Non si può evitare di essere preoccupati davanti a una >crisi di legalità impressionante e inedita, che incrina la democrazia >sin nel suo fondamento e nei contenuti della Carta Costituzionale. Non si >può non essere preoccupati, se guardiamo alle fatiche della politica >nell'interpretare la società, nel fornire risposte, nel rendersi >credibile e autorevole. Però la preoccupazione non può zittire la >nostra voce o fermare il nostro cammino lungo, faticoso, denso di rischi e >di delusioni. Ma anche capace di darci senso e coraggio. In questi dieci >anni abbiamo fatto tappa a Niscemi, Reggio Calabria, Corleone, Casarano, >Torre Annunziata, Nuoro, Modena, Gela. Ora siamo di nuovo a Roma. Più >stanchi e preoccupati, ma non per questo meno determinati. Perché il >nostro sogno si fa segno. Le parole, fecondate dalla coerenza, diventano >vita, reciprocità, costruzione di >futuro. Condivisione e memoria. Impegno e promessa. E tutto ciò è >scritto non sulla sabbia, ma nella carne viva di ciascuno. Per questo >denunciamo le nostre preoccupazioni, ma non ci ritiriamo nelle nostre case >o nelle nostre chiese. Dopo dieci anni non dobbiamo stare zitti, né >fermarci. Non possiamo dimenticare, né arrenderci.