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Alessandro Rizzo writes: >Lo psicoterapeuta: «La prevenzione si fa parlandone». >Linsegnante: «Presidiamo le scuole» >«Mille tentativi di suicidio tra i ragazzi» >Lallarme di Milano: centinaia di casi nascosti ogni anno, è la >seconda causa di morte tra i giovani > >MILANO - E la seconda causa di morte tra i giovanissimi, dopo gli >incidenti stradali. Ma non si dice. I tentati suicidi e i suicidi degli >«under 20» vengono negati, sottaciuti e camuffati, per poi finire >classificati come semplici seppur tragici incidenti. Perché attorno al >drammatico fenomeno si costruisce un muro invalicabile domertà. >Poco più di cento tentativi di suicidi in un anno a Milano, secondo le >statistiche ufficiali; più di mille secondo le proiezioni degli >esperti. Ecco dunque risultare falsate le statistiche e le ricerche >epidemiologiche. Che per altro segnalano - dati Istat - Lombardia e Sicilia >come le regioni con le punte più preoccupanti. In un Paese che è >ultimo in Europa quanto a numero di suicidi, appena prima del Portogallo, >ma solo perché più dedito - dicono gli esperti - a nascondere le >morti volontarie, soprattutto dei più giovani. >MEGLIO Il SILENZIO - Esiste una congiura del silenzio che avvolge e >anestetizza il problema della decisione di farsi del male. Un silenzio >fondato sulla vergogna: del protagonista in crisi, della sua famiglia, >della scuola che frequenta. Cè chi tra gli esperti è >convinto che non parlare delle forme estreme di disagio giovanile sia >meglio: perché diversamente si finisce per istigarle, per creare >voglia di emulazione, per scoperchiare il pentolone dove ribolle il disagio >degli adulti, genitori e professori compresi. E chi invece sostiene >«sulla base dellosservazione scientifica» che affrontare e >approfondire il tema dellautolesionismo portato allestremo tra >i teenager vuol dire fare azione di prevenzione. In testa, il professor >Augusto Pietropolli Charmet, psicoterapeuta di fama e di chiaro impegno per >salvare i «ragazzi tentati dalla morte». «Nellultimo >anno ho seguito personalmente 136 casi di tentato suicidio; >ritengo che sia un numero da moltiplicare almeno per dieci, che vuol dire >oltre 1300 nella sola Milano», dice il professore, che è >responsabile scientifico del Crisis Center voluto dallassociazione >non profit milanese «Lamico Charly». Lassociazione ha >firmato un protocollo dintesa con lUfficio scolastico regionale >della Lombardia. Offre gratuitamente, da ormai due anni, ora anche con il >sostegno economico della Fondazione Umana Mente, assistenza specialistica >per la prevenzione e la gestione del postvention (ovvero dellavvenuto >evento traumatico) a scuola e allinterno delle famiglie. >SCENARIO IDEALE - «La scuola è lo scenario da presidiare per >capire i ragazzi in crisi e quindi prevenire i loro gesti estremi. E >la scuola il palcoscenico ideale dove esprimere il loro disagio più >profondo», spiega la professoressa Mariagrazia Zanaboni, >trentanni di insegnamento di lettere classiche, questanno >premiata con la Rosa Camuna della Regione Lombardia e nel 2003 con >lAmbrogino dOro dal Comune di Milano, ma anche un nipote bello >e bravo e di famiglia benestante morto suicida nel 2001. «Gli >insegnanti e i dirigenti scolastici dovrebbero fungere da antenne per >captare i segnali dallarme del disagio dei propri studenti e quindi >essere in grado di disinnescarli», conviene Marina Valassuga, >vicedirettore dellUfficio Scolastico Lombardo. >SEGNALI DALLARME - Segnali dallarme che vengono però per >lo più negati e occultati. «Gli insegnanti sono ormai spenti >nella loro passione educativa dalle varie riforme, hanno difficoltà a >guardare negli occhi i ragazzi e a decifrare il loro disagio», >sostiene Ermelina Ravelli, preside della scuola superiore Capirola di Leno, >in provincia di Brescia, dove Desirée Piovanelli venne rapita e uccisa >durante un tentativo di violenza sessuale. Ma spesso i ragazzi fanno gesti >estremi senza dar segnali delle loro intenzioni. «Ho avuto un ragazzo >morto suicida tre anni fa che era il più bello e il più bravo >della scuola. Un ragazzo di successo e con grandi talenti», racconta >Andrea Boselli, preside del liceo Galilei di Legnano. Molti i casi di >disagio che ha visto nel suo istituto: «E il problema più grande >consiste sempre nel far uscire allo scoperto la famiglia: è difficile >riconoscere il disagio del proprio >figlio perché lo si vive come una propria colpa». > Gloria Pozzi >11 marzo 2005