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Alessandro Rizzo writes: >La pista italiana dell'«Oil for food» >I traffici a Baghdad dell'uomo di Formigoni. > >di Claudio Gatti > >FONTE: >http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&artId=620114&chId=30&artType=Articolo&back=0 >L'invito, scritto in inglese e firmato da Tarek Aziz, era stato spedito con >due mesi di anticipo, a marzo del 1999. «Dear Mister Roberto Formigoni >- recitava - l'aggressione anglo-americana contro l'Irak crea un problema >per la Nazione Araba e per tutto il mondo... noi pensiamo che sia ora di >condannare quest'aggressione e chiedere la fine dell'embargo... Su questa >base La invitiamo alla conferenza che si terrà a Baghdad». La >stessa lettera era stata inviata al parlamentare della sinistra laburista >inglese George Galloway, al leader ultranazionalista russo Vladimir >Zhirinovsky e a decine di altri politici e opinion-maker di tutto il mondo >ai quali si offriva viaggio, vitto e alloggio a spese dal governo >iracheno. >La conferenza si aprì l'1 maggio 1999 al Mansour Melia Hotel di >Baghdad. Per l'occasione, gli iracheni avevano tappezzato l'albergo di >striscioni, in inglese, che denunciavano «l'oppressione >americana» e chiedevano la fine dell'embargo. La sala si cominciò >a popolare a metà mattinata. Ovviamente a riempirsi subito furono le >prime file, quelle davanti al palco dove si sarebbe sistemato Tarek Aziz. I >posti migliori se li contesero i molti invitati provenienti dall'estero, un >gruppetto di dirigenti iracheni e i pochi ambasciatori residenti a Baghdad. >Il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni preferì >prendersela con calma, soffermandosi a conversare all'ingresso e lasciando >che la sala si riempisse quasi completamente. Quando si affacciò Tarek >Aziz era però lì pronto a salutarlo. Primo tra tutti gli invitati >alla conferenza. Aziz lo prese sottobraccio e lo accompagnò fino a >davanti al palco dove chiese a un suo sottoposto >in divisa di alzarsi per far accomodare l'ospite italiano. Fu quindi dalla >prima fila che, quando venne il suo turno, Formigoni si alzò per >raggiungere il microfono sul palco ed esprimere pubblicamente il proprio >sdegno per le «ingiuste sanzioni che uccidono i bambini». > >Gli invitati a Baghdad. Non è certamente un caso se l'elenco degli >invitati a quell'evento, stilato da Saddam Hussein assieme a Tarek Aziz, >riporti molti degli stessi nomi di un altro elenco oggi in possesso della >speciale commissione d'inchiesta creata da Kofi Annan per indagare sulla >vicenda e diretta da Paul Volcker. L'elenco, rinvenuto negli archivi del >ministero del Petrolio iracheno, contiene i nomi di decine di >personalità straniere a cui, tra il 1997 e il 2003, il regime di >Saddam ha dato in omaggio "buoni" per centinaia di milioni di >barili di petrolio in cambio del loro supporto alla campagna per >l'abolizione delle sanzioni imposte all'Irak dopo la Prima Guerra del >Golfo. >In entrambi gli elenchi si legge il nome di Roberto Formigoni. Nel secondo >elenco il presidente della Lombardia spicca in quanto maggiore beneficiario >di petrolio tra tutti i politici occidentali, con 24 milioni di barili. >Solo i russi possono vantarsi di aver fatto meglio di lui. >Che Formigoni fosse oggetto di un trattamento speciale per volontà >dello stesso Saddam Hussein è attestato da alcune carte rinvenute >negli archivi del ministero del Petrolio di cui «Il Sole-24 Ore» >e il «Financial Times» hanno ottenuto copia. In questi fogli le >assegnazioni di Formigoni sono spesso registrate con la dicitura >"Richieste speciali", ma in due occasioni c'è una nota >aggiunta a mano in cui si spiega che i quantitativi di petrolio concessi >erano stati approvati dal presidente iracheno in persona. >Nelle stesse carte il nome di Formigoni appare ripetutamente inserito tra >parentesi a fianco a quello della Cogep, società di Milano il cui nome >completo è Costieri Genovesi Petroliferi. A ottobre dell'anno scorso, >contattato dal Sole-24 Ore, il titolare della Cogep, Natalio Catanese, >confermò di aver avuto contratti di petrolio dalla società >petrolifera irachena Somo, ma negò che fossero in alcun modo collegati >al presidente della Regione Lombardia. Questo diniego è stato ribadito >anche adesso: «Confermo oggi quello che ho detto mesi fa» ha >dichiarato Catanese. >Prima di partecipare al programma Oil for Food, la Cogep era una >società che non trattava greggio. Tant'è che non aveva alcun >trader alle sue dipendenze. Il suo core business veniva dai depositi che >aveva a Genova e Alessandria e dalla movimentazione di piccoli volumi di >gasolio. Insomma gestiva autobotti, non petroliere. Tra il 1994 e il 1997, >i bilanci societari parlano di ricavi che oscillano tra i 30 e i 67 >miliardi di vecchie lire. Tutto cambia nel 1998 quando, grazie ai contratti >ottenuti in Irak, i ricavi balzano a 167 miliardi, per poi arrivare a 384 >nel 1999 e stabilizzarsi tra i 185 e i 220 nei tre anni successivi. >Dopodiché, con l'invasione americana del marzo 2003, finisce la >pacchia e i ricavi tornano ai livelli di una volta: 47 miliardi. Ma come ha >fatto una piccola azienda di prodotti petroliferi raffinati senza alcuna >esperienza nel trading di greggio a diventare uno degli interlocutori >privilegiati della società petrolifera di Stato irachena >Somo? Gli investigatori dell'Onu hanno scoperto che la risposta sta nel >nome del suo sponsor: Roberto Formigoni. >Nel gennaio scorso, il presidente della Regione Lombardia disse al Sole-24 >Ore di «aver aiutato aziende italiane a fare affari con l'Irak >nell'ambito del programma Oil for Food», negando di aver avuto a che >fare con i contratti della Cogep. Contattato nuovamente, il presidente non >ha voluto accettare l'invito di replica in questo articolo, limitandosi a >rinviarci alla dichiarazione di un anno fa. > >Il ruolo di Formigoni. Ma c'è un documento rinvenuto a Baghdad, di cui >«Il Sole-24 Ore» e il «Financial Times» hanno copia, >che lo smentisce. È un fax spedito alle 12,57 del pomeriggio dell'8 >giugno 1998. L'intestazione dice «Da: Formigoni. A: Tarek Aziz». >«Eccellenza - recita - in seguito al nostro incontro a Roma, del quale >le sono grato, poiché so che Somo sta firmando i nuovi contratti, mi >lasci ricordarle i nomi delle società petrolifere italiane che le ho >segnalato: una è la Cogep e l'altra la Nrg Oil. Molte grazie per >quello che sarà in grado di fare. Cordiali saluti, Roberto >Formigoni». Sul fax si leggono due note scritte a mano in arabo con >cui si trasmette il messaggio al ministro del Petrolio e al direttore >esecutivo della Somo e si notano i timbri di accettazione dei loro uffici. >Né Catanese né Formigoni possono inoltre smentire di conoscere il >personaggio-chiave di questa vicenda: un signore cinquantenne di nome Marco >Mazarino De Petro. Ex onorevole democristiano, ex sindaco di Chiavari (fu >costretto a dimettersi nel 1987 in seguito a uno scandalo su una faccenda >di appalti pubblici), tra i primi iscritti a Comunione e Liberazione e al >Movimento Popolare, De Petro è attualmente presidente della Avio Nord, >minicompagnia aerea specializzata nel trasporto organi controllata dalla >Regione Lombardia. Ma De Petro ha anche un'altra attività. Quando >«Il Sole-24 Ore» e il «Financial Times» hanno chiamato >il Pirellone, sede della Regione a Milano, chiedendo di lui, si sono >sentiti rispondere che è reperibile al numero della segreteria della >Presidenza, dove ha a disposizione un ufficio. Stessa cosa a Roma, a piazza >del Gesù, nella sede distaccata della Regione Lombardia. Lì >«Il Sole-24 Ore» e il >«Financial Times» sono stati indirizzati a Gianna Antonini, la >segretaria factotum del presidente Formigoni che non esita a spiegare di >lavorare con l'ex sindaco di Chiavari «da anni». >Raggiunto telefonicamente da «Il Sole-24 Ore» e dal >«Financial Times», De Petro ha ammesso di aver avuto il mandato >«da parte della Regione Lombardia di tenere i rapporti internazionali >con vari Paesi, incluso l'Irak». Ha anche confermato di esser stato a >Baghdad «molte volte per missioni umanitarie e per missioni con >imprenditori italiani interessati ad avere rapporti con l'Irak». >Ma per sciogliere questa complessa matassa politico-economica è >opportuno fare un salto indietro nel tempo, all'avvio operativo del >programma Oil for Food, nel 1997. Pur avendo le seconde maggiori riserve >petrolifere al mondo, l'Irak era stato chiuso alle esportazioni sin dai >giorni dell'invasione del Kuwait, nel 1990. La riapertura di quel mercato >faceva gola a tutti. Eni inclusa. >Nell'aprile di otto anni fa, la compagnia petrolifera italiana decise di >invitare nel nostro Paese il ministro del Petrolio iracheno, il generale >Amir Rashid. Il 22 aprile, un jet dell'Eni volò ad Amman per prendere >il ministro e portarlo a Roma, dove venne sistemato in pompa magna nella >suite 105-106 dell'Excelsior, l'albergo di via Veneto a fianco >dell'ambasciata americana. Il generale Rashid era un ospite tanto prezioso >quanto ambito, e a Roma venne ricevuto da ministri del Governo Prodi, >membri del Parlamento e industriali. Lui aveva però una richiesta >particolare: voleva portare i saluti di Tarek Aziz al presidente della >Regione Lombardia Roberto Formigoni. Ovviamente fu accontentato. Il 25 >aprile, alle 9,50 del mattino il jet dell'Eni atterrò all'Ata, lo >scalo privato di Linate. Lì, nella saletta Vip ad attendere il >ministro Rashid c'era Roberto Formigoni accompagnato da una giovane >interprete. Alcuni mesi dopo quell'incontro, nell'autunno del 1997, Marco >De Petro cominciò a contattare esperti del settore energetico per >discutere della possibilità di piazzare contratti di greggio iracheno. >Non era un campo che gli era familiare. Per settimane il consulente di >Formigoni annaspò pressoché nel buio contattando persone >inadatte, prima di approdare alla Cogep. >De Petro trovò un accordo con i Catanese e a metà gennaio 1998 >partì per l'Irak con un esperto di trading di greggio appositamente >assoldato dalla Cogep. Dopo due giorni di trattative, il 18 gennaio, >arrivò il momento della firma del contratto con il direttore generale >della Somo, Saddam Hassan, cugino del leader iracheno. Era domenica e De >Petro si presentò come sempre vestito in blazer blu e pantaloni grigi >- una sorta di divisa a cui non rinunciava mai. Lo aspettava un contratto >lungo dieci pagine. Nella decima erano riportati prima il nome e i dati del >venditore - la Somo - e poi quelli dell'acquirente - la Cogep. Sotto c'era >lo spazio per le firme. >In rappresentanza del venditore firmò per primo Hassan. Poi fu la >volta di De Petro, che pose la firma sotto la dicitura «For >buyer» - per l'acquirente. Insomma, il primo contratto di acquisto da >parte della Cogep di petrolio iracheno - e l'unico ad esser stato siglato a >Baghdad (gli altri furono sempre inviati per fax) - non venne firmato da un >funzionario della società milanese bensì dal consulente di >Roberto Formigoni. Quando l'hanno vista, gli investigatori dell'Onu hanno >immediatamente capito che quella firma costituiva una vera e propria svolta >nelle indagini. Per la prima volta erano infatti in grado di documentare il >legame tra una società petrolifera che aveva firmato un contratto con >la Somo e un uomo politico incluso nella lista dei beneficiari dei >"buoni" petroliferi stilata dal ministero iracheno. >Da parte sua De Petro non ha problemi ad ammettere di aver accompagnato >personale della Cogep negli uffici della Somo, ma nega fermamente di aver >mai firmato alcun contratto. «Non ho mai firmato contratti per la >Cogep - dice - Non avevo alcun titolo per farlo». Titolo o non titolo, >gli investigatori hanno appurato che gli iracheni lo associavano alla >Cogep. Tant'è che svariati documenti successivi arrivarono indirizzati >a lui. Un esempio è offerto dal fax spedito dal direttore della Somo >Saddam Hassan il 13 giugno 1998. È la copia firmata del secondo >contratto, indirizzata a «Cogep Srl, Milano, Italy, Attn Mister >Marco». >Da parte sua, De Petro non sentiva però obblighi particolari nei >confronti della società milanese ed era disposto a >"diversificare". «Il Sole-24 Ore» e il «Financial >Times» hanno appurato che per questo entrò in contatto con >l'ingegner Alberto Olivi, un ex trader petrolifero della Cameli diventato >amministratore unico e proprietario della Nrg Oils, la società >genovese segnalata da Formigoni nel suo telex a Tarek Aziz assieme alla >Cogep. Documenti trovati negli archivi iracheni confermano che la >società di Olivi aveva fatto affari con la Somo. «Ho avuto >contratti nel 1996, nel 1999, nel 2001 e nel 2003» spiega a «Il >Sole-24 Ore» e al «Financial Times» l'ingegner Olivi, che >sostiene di non essere a conoscenza di alcun intervento a suo favore da >parte di Roberto Formigoni. Olivi conferma però di aver discusso di >petrolio con Marco De Petro: «(De Petro, ndr) poteva forse supportare >l'aggiudicazione di contratti, ma non ci fu né il modo, né il >tempo, né l'intenzione di approfondire la cosa... I nostri incontri, >probabilmente a Baghdad, non hanno prodotto risultati ai fini delle >attività della mia società». > >Gli affari della Cogep. Il rapporto tra il duo Formigoni-De Petro e la >Cogep continuò invece senza interruzioni per tutto il corso del >programma Oil for Food. De Petro in particolare fu tutt'altro che distante >o passivo. Al contrario, per tutti quegli anni ebbe incontri regolari con >la Cogep per discutere su come ottimizzare gli sforzi di >commercializzazione del greggio comprato. >Gli investigatori hanno scoperto che i primi incontri si tennero negli >stessi uffici della Cogep, al primo piano del numero 45 di via San Vittore. >Seduto attorno al bellissimo tavolo ovale inglese della sala riunioni, De >Petro si trovò spesso a discutere di petrolio fino a sera inoltrata >con due funzionari della Cogep, Natalio Catanese, suo figlio Andrea e suo >fratello Saverio, proprietario tra l'altro della società di design >Almax e membro della Compagnia delle Opere. >Delle decine di politici dei 52 Paesi che risultano aver avuto >"buoni" di petrolio dall'Irak, Roberto Formigoni è l'unico >ad aver ottenuto assegnazioni poi convertite in contratti eseguiti dal >gennaio1998 fino alla vigilia dell'invasione anglo-americana. Senza mai >un'interruzione. E il fatto che le sue assegnazioni siano continuate anche >dopo il 2000 è ritenuto particolarmente significativo. Gli >investigatori hanno infatti appurato che a partire dal 2000, su ordine di >Saddam, la Somo offrì petrolio soltanto a chi era disposto a pagare >una tangente del 10% al regime. Le compagnie petrolifere maggiori si >rifiutarono di accettare quest'imposizione in aperta violazione delle >risoluzioni dell'Onu ritirandosi dal mercato iracheno, ma la Cogep fu tra >le società che si prestarono al gioco permettendo così a Saddam >di creare fondi neri, riciclare denaro illecito e, tra le altre cose, >acquistare armi. >Gli iracheni ovviamente non usarono mai la parola mazzetta (kickback, in >inglese) bensì il termine più morbido di sovrattassa (surcharge). >Ma la natura illegale di questi pagamenti era evidentemente chiara ai >signori della Cogep, perché tutti i versamenti vennero fatti da uno >speciale conto aperto presso la Ubs a Lugano, un conto diverso da quello >della Paribas a Ginevra da cui venivano aperte le lettere di credito >ufficiali per l'acquisto del petrolio iracheno. Gli investigatori hanno >trovato tracce documentali di pagamenti fatti dalla Cogep su due conti >segreti della Somo, il primo presso la Franzabank di Beirut e il secondo >presso la National Jordan Bank di Amman. In totale, la società >milanese ha pagato 943mila dollari in tangenti. >Se c'era il margine per pagare tangenti di questo calibro era perché >la Cogep ebbe modo di fare profitti non indifferenti sui 24 milioni di >barili acquistati in totale dalla Somo. Anche perché quei barili non >li ha mai neppure toccati: li ha sempre rivenduti a qualcuno che li andava >a caricare in Irak. Nel marzo del 1999, dal carico di una singola >petroliera - la Krovinken - riuscì a guadagnare 270mila dollari. >Non ci sono prove che Formigoni e De Petro sapessero di queste tangenti, ma >gli investigatori hanno appurato che non tutti i profitti sono rimasti >nelle casse della Cogep. A dimostrarlo è il contenuto di un faldone >verde che, almeno fino a qualche tempo fa, era conservato in via San >Vittore. Per la precisione nella stanza di Andrea Catanese, alle spalle >della sua scrivania, vicino alla finestra. Sul dorso, con pennarello >indelebile blu, c'era scritto un nome: Candonly. Dentro c'erano le >fatturazioni di questa società e le rimesse a essa pagate dalla >Cogep. >A «Il Sole-24 Ore» e al «Financial Times» risulta che, >ad eccezione del primo contratto, quello del gennaio 1998, in cui il >pagamento fu in percentuale, per tutti gli altri contratti avuti dalla Somo >la Candonly sia stata pagata una commissione di tre centesimi per ogni >barile di petrolio acquisito dalla Somo. > >Giri di prestanome. Ma chi c'è dietro Candonly Limited? La >società è stata registrata a Dublino nel 1991 da Jesse Grant >Hester, un prestanome di professione - una cosiddetta testa di legno - con >sedi legali nelle Channel Islands e a Cipro. È stata poi chiusa il 12 >novembre 1999, sei mesi dopo la costituzione di una consorella londinese >dallo stesso nome. Amministratore e proprietario della Candonly inglese >risulta essere Michael Patrick Dwen, ma in realtà è anch'egli un >prestanome di professione con uffici nelle Channel Islands e a Cipro, e che >soltanto in Gran Bretagna è nel consiglio di oltre 400 società >diverse. Jesse Grant Hester appare con lui nei consigli di amministrazione >di numerose società sparse per il mondo. >Gli investigatori hanno appurato che oltre a queste "teste di >legno" c'è un altro signore associato alla Candonly: Marco >Mazarino De Petro. «Il Sole-24 Ore» e il «Financial >Times» sono inoltre in possesso di un documento scritto a mano dal >consulente di Formigoni, con il suo nome a fianco a quello della Candonly >Ltd. >De Petro nega invece di aver mai sentito nominare questa società o di >aver mai avuto alcunché a che fare con essa. >«Quelle della Somo non erano certamente elargizioni a perdere» >commenta una persona che frequentava Baghdad nel periodo in questione. >«Se gli iracheni tenevano il conto preciso di quello che davano a ogni >personalità straniera non era certo per caso. Era per poterlo >riscuotere». >Agli investigatori dell'Onu risulta che ciò che più interessava >agli iracheni era il sostegno internazionale alla battaglia di Saddam >contro le sanzioni. E non c'è dubbio che su questo fronte Formigoni si >sia dato molto da fare. Fu lui stesso a vantarsene in una lettera scritta >nel 1996 a Tarek Aziz, in possesso de «Il Sole-24 Ore» e del >«Financial Times». «Eccellenza - si legge - innanzitutto >vorrei confermare con questa lettera la mia solidarietà nei confronti >del popolo iracheno... Io ho dimostrato formalmente la mia solidarietà >sia davanti al mio Governo che davanti all'opinione pubblica attraverso >dichiarazioni e interviste. Credo di poter affermare di aver contribuito a >riequilibrare la posizione del Governo italiano». Oltre a partecipare >alla conferenza tenuta a Baghdad nel maggio 1999 e ad altre successive, >Formigoni si impegnò in prima linea nella campagna a favore della fine >dell'embargo. L'11 novembre 2000 fu >per esempio lui alla testa della delegazione che partì dall'aeroporto >di Linate a bordo di un volo umanitario. Era il primo volo ufficiale >italiano su Baghdad dopo quello che nel 1991 era servito allo stesso >Formigoni per riportare in patria i nostri connazionali tenuti in ostaggio >come "scudi umani" da Saddam. A organizzare il viaggio del >novembre 2000 fu la Regione Lombardia. «Questa missione - >dichiarò il governatore in una conferenza stampa tenuta in una sala >dell'aeroporto - è un segnale di solidarietà a un popolo che >soffre, ed esprime la nostra volontà che le sanzioni contro l'Irak >abbiano fine». >Nei mesi precedenti all'invasione anglo-americana del 2003, Formigoni si >schierò apertamente contro la guerra. Nel febbraio 2003 non esitò >a incontrare a pranzo lo stesso Tarek Aziz in occasione del suo viaggio dal >Papa, vano tentativo in extremis di fermare la macchina da guerra >americana. Nel suo piccolo anche De Petro si diede da fare: a novembre 2002 >fu uno dei firmatari di una mozione al consiglio comunale di Genova che >criticava l'ipotesi di un intervento militare americano. >Non c'è ovviamente nulla di eccepibile in queste iniziative, peraltro >condivise da buona parte degli italiani. Gli investigatori dell'Onu stanno >ora cercando di stabilire se la campagna pubblica, del tutto legittima, sia >stata almeno in parte finanziata da pagamenti privati e non dichiarati. >Nell'aprile 2004 in una mozione presentata dall'opposizione nel consiglio >della Giunta regionale fu chiesto al presidente Formigoni di rassicurare i >cittadini lombardi di non aver fatto «opera di intermediazione >petrolifera. Perché ogni opera di intermediazione politica porta con >sé vantaggi economici». Il presidente Formigoni non ha mai >risposto, ma a volergli ripetere la domanda sarà presto anche la >commissione dell'Onu.